La norma del decreto 90 sul personale della Pubblica Amministrazione che prevede la pensione per i professori universitari non prima dei 68 anni è una soluzione accettabile per contemperare sia le esigenze di rinnovamento dell’università sia quella di non “decapitare” le Facoltà attuali. Oggi l’età della pensione sarebbe 70 anni, le proposte oscillavano tra 62 e 65, col nuovo testo viene recepito un emendamento da me presentato che fissa a 68 anni la possibilità per i Senati accademici di mandare in pensione i professori.
È sicuramente necessario far spazio ai giovani nell’insegnamento universitario per abbassare l’età media. Il problema è che questo non avverrebbe con questi “tagli lineari” che considerano il valore dell’accumulazione della conoscenza e dell’esperienza e avrebbe operato in modo indiscriminato tra i professori. Non a caso nella maggioranza dei paesi europei l’età della pensione per i docenti è stata alzata, e negli USA non esiste limite.
Non è automatico che vengano assunti i giovani al posto dei più anziani se non si attua una politica di complessivo ringiovanimento. Bene quindi che prioritariamente al posto del docente senior si assuma uno junior. Funzionerebbe, insomma, una politica che si basa su elementi valutativi per gestire le carriere universitarie e distingue tra i singoli casi. Non dobbiamo più assistere a esiti paradossali nelle politiche del pensionamento, ad esempio impedendo a chi vuole smettere di lavorare nella scuola di farlo (i cosiddetti “quota 96”) e invece imponendolo a un’intera categoria di docenti universitari.