La mia dichiarazione di voto su ‘la buona scuola’.

La mia dichiarazione di voto su ‘la buona scuola’.

MILENA SANTERINI. Grazie Presidente. Ogni riforma riflette il contesto in cui nasce. Si potrebbe pensare, con l’approvazione di questo disegno di legge, ad un ritorno del primato della politica come aveva tentato, ad esempio, il Governo dell’Ulivo rispetto alla burocrazia ministeriale di viale Trastevere. Qui potremmo vedere un primato della politica rispetto alla prassi di contrattazione con le forze sindacali. Ma accanto a un opportuno bilanciamento, è necessario un nuovo rapporto sia tra i tecnici della pubblica amministrazione e le sedi decisionali politiche e soprattutto una ripresa del dialogo tra le parti sociali senza ricatti corporativi o difesa solo dei garantiti. Il rapporto leader-singoli infatti non ci convince e nella scuola, come in ogni altro campo, il gruppo per l’Italia Centro Democratico, mentre dichiara il suo voto favorevole, chiede ancora una volta di più di valorizzare le forme associative perché, se orientate al cambiamento e non ad interessi di parte, esprimono una cultura politica collettiva. 

Si è spesso parlato dell’inutilità e dell’impossibilità in Italia di riforme «macro», complessive, preferendo aggiustamenti e microinterventi. Grandi riforme sono state la scuola media unica, l’innalzamento dell’obbligo, la legge n. 62 di Berlinguer sulla parità scolastica, la rottura di un tabù che abbiamo visto teatralizzato e riproposto qui in aula anche in questi giorni. 

Non da oggi, in Italia, le riforme rischiano di adattare l’organizzazione dell’istruzione solo ai vincoli economici:
«maestro prevalente», quando i docenti sono da tagliare, «curricolo arricchito», quando c’è un piano di assunzioni. Anche in questo caso, possiamo dire che non avevamo bisogno solo e semplicemente di un ampliamento dell’organico: anzi, diciamo che è, forse, tempo di rivedere il contratto dei docenti. Il vero rischio sono le riforme interrotte per l’avvicendamento politico o incompiute per insabbiamento. Il risultato è che molti stanno male scuola. 

Questo testo, in senso stretto, non è una riforma come quelle europee, che si pongono l’obiettivo di migliorare i risultati degli alunni soprattutto nel confronto internazionale, ma è una sintesi di approcci discussi da anni nel Paese. Un intervento molto pragmatico, ampiamente modificato in Commissione, su alcuni enormi problemi ereditati dal passato: la stabilizzazione del precariato e l’ampliamento dell’autonomia. Quando un peso è troppo grande, bisogna agire e spostarlo attraverso le leve. Se queste operazioni riusciranno e la situazione economica lo consentirà, sarà allora il momento, spero, di mettere al centro altri obiettivi qui affrontati, ma non compiutamente, aggredendo con maggiore coraggio e visione i punti di debolezza del sistema: perché la qualità per cui ci siamo battuti dipenderà da come utilizzeremo queste risorse. 

Autonomia e valutazione non sono idee liberiste conservatrici, ma linee guida necessarie nella società complessa, sono impulsi riformatori che possono produrre cambiamento, perché introducono flessibilità, vanno in direzione di un sistema di effettiva libertà di insegnamento, ma devono essere sottoposte a rendicontazione. Per questo l’autonomia che potenziamo qui dovrà ridurre, innanzitutto, le differenze tra gli istituti. In Campania, Sicilia e Sardegna, la percentuale dei diplomati è di nove punti sotto la media nazionale e venti sotto quella di Trentino, Lazio e Umbria. Per questo non dovremmo parlare di riforma della scuola, ma di riformare le scuole, molto diverse tra loro a seconda del grado, dell’indirizzo o della zona in cui si trovano. 

È centrale l’accoglienza dei neoarrivati, dare cittadinanza alle seconde generazioni che hanno cambiato il volto delle classi Ahmed, Mei Babukar, Karen , diffondere l’educazione alla cittadinanza interculturale come modo di vivere insieme tra diversi. A quando la legge sulla cittadinanza ai figli 
degli immigrati nati e cresciuti qui, che anche come demos, democrazia solidale, abbiamo chiesto ? E ancora: valorizzare bene la capacità di inclusione degli alunni disabili, che la scuola italiana ha sempre storicamente saputo mostrare. 

Insomma, l’autonomia senza standard qualitativi comuni sarebbe un ritorno indietro. I costi degli ignoranza sono troppo alti ed è ancora l’origine sociale che condiziona la riuscita. Siamo in fondo alle classifiche OCSE per competenze dei quindicenni. Qui noi abbiamo potenziato l’alternanza scuola-lavoro, che non può significare espulsione precoce, ma più studio applicato alla pratica. La dispersione non è una forma di disagio individuale che bisogna trattare come il bullismo: è una disfunzione strutturale del sistema scolastico italiano. L’obiettivo dell’Unione è ridurre la dispersione al 10 per cento entro il 2020: noi siamo, a seconda dei dati, al 17 o, addirittura, arriviamo al 30. Ecco una buona causa per cui lavorare nei prossimi anni, come abbiamo indicato anche nell’indagine conoscitiva della VII Commissione. 

La valutazione degli studenti, degli strabilianti e delle scuole è l’analisi dei punti di forza e di debolezza di un sistema. Per questo, gli slogan della piazza in questi giorni e, soprattutto, il boicottaggio dei testInvalsi non ci hanno convinto, anzi, ci hanno spinto a difendere le norme che stiamo approvando, credendo nella maturità degli insegnanti e degli studenti per gestire l’autonomia; investendo sulla capacità dei dirigenti di agire con correttezza nell’individuare i docenti: una misura di flessibilità utile, che non è affatto scandalosa, anzi, normale, perché rivede il meccanismo farraginoso della chiamata dei supplenti; investendo sugli insegnanti e sulla loro capacità di lavorare insieme: noi siamo stati tra quelli che hanno riprodotto più collegialità, perché la parola chiave del futuro è cooperazione, non competizione; iniziando a finanziare i bonus, ancora troppo pochi per gli insegnanti, anche se resta il nodo del Comitato di valutazione, allargato a famiglie e studenti, che andrebbe rivisto. 

E, allora aggiungiamo , diamo però anche giusto riconoscimento a questi dirigenti, anche nella riforma della pubblica amministrazione.